mercoledì 28 dicembre 2011

LIVE REPORT - CORONER + SCHIZO + guests


10-12-11 - Coroner + Schizo + guests @ Demodè – Modugno (BA)

La notizia uscì fuori il giorno dopo la data di Trezzo, che sembrava l'essere l'unica discesa sul suolo italico: Coroner a Bari!
"Porca puttana, cascasse il mondo ci dovrò essere!" fu il mio primo commento, leggendo la news, che mi rese molto meno amaro il fatto di essermi perso il concerto della sera prima.
L'evento è di quelli storici per tutti i thrashers meridionali, ancor più per noi pugliesi, che abbiamo l'insperata opportunità di vederci un gruppo storico a a pochi km da casa; senza dubbio un grosso colpo quello realizzato dalla Rockcult.
La cornice dell'evento sarà il Demodè, ottima location, già collaudata per eventi metal di un certo livello, come le ultime edizioni del TMF.
Arrivato finalmente il fatidico giorno riesco ad entrare nel locale non appena i Cruentus terminano l'ultimo pezzo, ragion per cui lascio che a commentarvi le prime due bands sia l'altro nostro recensore Dave:

"I Tales Of Deliria, in occasione dell'uscita del loro album di debutto "Beyond The Line", si sono presentati sullo stage più preparati che mai: il quintetto é in continua crescita, e concerto dopo concerto ho modo di notare i loro continui miglioramenti.
Il tutto si apre con "Towards North", la terza traccia del loro album; si continua con "Under This Shroud" e con la title track "Beyond The Line", seguita da "The Anguish Fixer". Il pubblico apprezza, e una volta partita "Over The Wall", cover della nota canzone dei Testament, il pogo parte più forte di prima.
Anche gli ultimi due brani della scaletta, "Etheral Warrior I" e "Etheral Warrior II", risultano apprezzatissimi dal pubblico.
I Cruentus, storica band death metal barese formatasi nel 1990, saliti sul palco subito dopo i Tales Of Deliria, mostrano tutto il loro valore: sarà impossibile non farsi prendere da riff di vera fattura Death Metal Old School, e l'headbanging si é presto rivelato un "must". Dimostrano di essere davvero la band di valore che ci si aspettava."

Tornando a me, lo scenario che ho davanti al mio arrivo è di una sufficente presenza di pubblico ( forse ci si poteva aspettare anche un pò di più considerando che si parla sempre di un pezzo importante del thrash degli anni d'oro,anche se con meno visibilità di quanto avrebbero meritato all'epoca) ma c'è ancora l'attenuante dell'orario. Confido che le presenze aumentino considerevolmente.
Mi stupisco nel notare poche facce conosciute, segno evidente che l'evento ha avuto grande risonanza nelle altre regioni ma non tantissima nei confini locali.


Nel frattempo on stage iniziano gli SCHIZO, di ritorno qui al Demodè dopo l'esibizione del TMF 2008. Come fu per allora la band mette su un'esibizione violenta e convincente. La discografia del gruppo catanese si sa, non è molto fornita, ma si estende per un periodo abbastanza lungo, perciò è facile notare le diverse influenze che intercorrono tra i periodi: il thrash estremizzato e cattivo dei primi anni diventa più groove con i brani più recenti. Per fortuna però la scaletta verte per gran parte sui pezzi più nostalgici, particolarmente graditi sono gli estratti dell'album d'esordio, come "Make Her Bleed Slowly", la furente "Violence at the Morgue" ma soprattutto la titletrack "Main Frame Collapse" con il quale chiuderanno lo show. Non sfigurano però neanche episodi recenti come ad esempio "Electric Shock ".
Il singer Nicola Accurso col suo ormai classico passamontagna, coinvolge il pubblico che risponde alla grande con un pogo forsennato durante tutta l'esibizione. La band si conferma un pezzo di storia del metal italiano, e in particolare del metal del meridione.

Setlist Schizo:

Epileptic Void

Kill The Foetus
Demise : Desire
Mario Please Don't Cry
Make Her Bleed Slowly
Electric Shock
Ward Of Genocide
Necroschizophrenia
Violence At The Morgue
Delayed Death
Behind That Curtain
Main Frame Collapse



E'arrivato il momento tanto atteso. I Coroner sono sul palco, e nel frattempo il Demodè si è maggiormente riempito come si confà a una serata del genere. Vetterli, Marky e Royce si apprestano a fornirci una prova eccezionale, soprattutto per quanto riguarda Vetterli, vero mattatore del gruppo, particolarmente disinvolto a sciorinare i suoi riff tecnico-psichedelici su cui i Coroner han costruito la loro fama. Royce dal canto suo sembra aver fermato il tempo, la sua voce è perfettamente uguale dopo tutti questi anni.
Il pubblico è rapito dall'esibizione, si lascia andare a momenti di pogo durante gli episodi più thrash come la bellissima "Masked Jackal" oppure si gode il trip psichedelico dei pezzi più recenti. L'unica pecca sta nella scelta della scaletta, che va a prilegiare l'ultimo "Green" piuttosto che un "R.I.P." o un "Punishment for decadence", ma era difficile aspettarsi variazioni rispetto alla setlist di Trezzo.
I momenti più intensi si hanno dai ripescaggi di "Mental Vortex" su cui spicca la performance di "Semtex Revolution" (insieme a "Masked Jackal" il momento più alto del live), ma fanno la loro figura anche "Metamorphosis" e "Divine Step".
Di contro il momento più basso si ha con la discutibile cover dei D.A.F. "Der Mussolini", francamente un pò fuori contesto.
La chiusura è affidata all' unico estratto di "R.I.P." ovvero "Reborn through hate" che segue una gustosissima "Purple Haze" cover hendrixiana rifatta in chiave Coroner.
In conclusione, scaletta a parte, si è visto ciò che volevamo vedere dai Coroner, speravamo di vedere una band che ci riportasse indietro di un bel pò di anni e così è stato. Un'occasione imperdibile per chi voleva respirare un pò di anni 80, e per i presenti di quella sera ( si potrebbe dire sui 300) un'esibizione da ricordare.

Setlist Coroner

Golden Cashmere Sleeper, Part 1
Internal Conflicts
Serpent Moves
Masked Jackal
Still Thinking
Metamorphosis
The Lethargic Age
Semtex Revolution
Gliding Above While Being Below
Divine Step (Conspectu Mortis)
No Need to Be Human
Der Mussolini (D.A.F. cover)
Grin (Nails Hurt)

Encore:

Purple Haze (Jimi Hendrix cover)
Reborn Through Hate

Torrrmentor


(Foto di Annamaria D'Andrea)

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Recensione LAST ETERNAL BREATH

Last eternal breath - From a tormented soul
(2011, Autoprodotto)
Death

Dalla sicilia i Last eternal breath, ci presentano questo From a tormented soul, autoproduzione di 4 pezzi di puro death metal di matrice americana, Death ed obituary su tutti, strizzando l'occhio a sonorità piu' svedesi in pieno stile At the gates ed In flames.
In the aeons parte subito dimostrando di che pasta sono fatti i ragazzi,gli incastri armonici sono ricercati e di gusto, degni di una band di "veterani", con una sezione ritmica incalzante al cospetto di un ottima prova vocale per un frontman cosi' giovane, ma piu' di tutto la prova delle chitarre rappresenta il valore aggiunto di questo pezzo.
Echoes of war, è più ragionata e cadenzata, dove la prova vocale la fà da padrone e soprattutto dimostra che avendone le qualità anche il basso può uscire dal ruolo troppo semplicistico di "accompagnamento".
Last eternal breath,e Pandeistic chiudono questo lavoro in crescendo, parlando di valore espresso, infatti i due brani finale sono decisamente superiori, anche perchè più spiccatamente Shuldiner come sound.
Dettano i canoni di quanto di buono espresso finora, con i suoi tempi serrati i fraseggi chitarristici e la devastante prova vocale.

Ottima prova da parte dei messinesi, sia quando si tratta di ostentare le proprie qualità che quando si parla di trasformarle in sound diretto, buona anche la registrazione pur essendo un demo autoprodotto.
Sicuramente con un album intero, i ragazzi potranno esprimere molto meglio il loro valore rispetto a soli 4 pezzi, che visto il valore espresso sanno un po' di poco.
Spero solo che nei prossimi lavori, la band si orienti più verso la matrice americana del sound, (visto che hanno tutte le qualità per suonare simile genere), evitando di esagerare con le influenze melodiche, (per ora ben dosate in questo from a tormented soul) che a lungo andare potrebbero prendere possesso del sound cancellando quello che di buono si è dimostrato fin ora.

Traklist:
1 In the aeons
2 Echoes of war
3 Last eternal breath
4 Pandeistic

Furia


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Recensione THE ERGOT

The Ergot - Disagio Suite
(2011)
Dark/Gothic/Doom Metal


In totale controtendenza con la prassi attuale che vede una riscoperta delle sonorità “old school”, sia nel metal che nel rock, i The Ergot sperimentano varie sfumature del metal oscuro e andante. Nonostante il loro genere venga identificato solitamente come “doom metal”, in realtà se ne discosta in molte sue parti. Io definirei il loro sound molto più vicino al panorama “dark/gothic”, sia per la caratteristica del loro songwriting che per la durata generale delle tracce, che raramente superano i 5 minuti, diversamente dai canoni del doom moderno che invece si “diluisce” in tempistiche ben maggiori. Come gruppi di riferimento possiamo citare i Dark The Suns, dai quali sembra abbiano "assorbito" la maggior parte delle loro caratteristiche: pezzi malinconici ma che non disdegnano accelerate ed esplosioni (controllate) di disperata rabbia. Musicalmente, potremmo accostare alcune parti perfino al gothic rock degli HIM. Poi citerei anche i primi Tristania e Sirenia, specialmente per il riffing e per alcune “fughe” musicali; “Dormiveglia” è il brano più azzeccato per rendere palesi queste “assonanze” anche alle orecchie meno esperte. Si, ci troviamo anche del doom metal, ma non quello saldato all’heavy di scuola Candlemass, bensì il doom più moderno che spesso e volentieri si fonde col gothic e col depressive rock. Infine, alcune parti più progressive mi hanno fatto ricordare i Novembre di “Novembrine Waltz”, ma sono solo dei piccoli accenni, forse rimarcati dalla voce, ma ne parlerò fra pochissimo.
Tecnicamente ci si trova su un livello più che discreto: certo, il genere suonato non lascia spazio a tecnicismi esagerati, ma ciò non toglie che il disco scorre rapido e fluido senza sbavature. La voce è molto innovativa: a parte alcuni rarissimi inserti growling, viene usato uno screaming molto lacerante, sulla falsariga di quello del sommo Carmelo Orlando (Novembre), e a parte qualche lieve pecca a livello di pronuncia inglese svolge egregiamente il suo dovere e rende i The Ergot facilmente riconoscibili nel panorama dark/gothic.
Anche come produzione siamo su livelli più che dignitosi, sebbene qualche piccolo difettuccio di mixaggio rende l’unione tra musica e voce non perfettamente ottimale. Ma ammetto di essere molto pignolo in questo.
Disagio Suite” è un disco piacevole all’ascolto, che unisce al suo interno la ferocia di un cantato tipicamente black a sonorità più andanti e rilassanti. Non ci troviamo forse di fronte al disco del secolo, ma a noi importa che un album sia valido e convincente, che mantenga le promesse e che le emozioni che suscita siano longeve. Se vi piace il genere di riferimento, i The Ergot fanno sicuramente al caso vostro.

Grewon


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Intervista - THE RITUAL

1) Innanzitutto grazie per aver accettato di essere intervistati per Metalarci. La nostra è una webzine che si occupa di sponsorizzare il metal e il rock italico per cercare di farli emergere dall’oblio provocato dall’ignoranza generale, drogata di house, talent show e altre schifezze simili che distruggono la musica stessa. Presentateci dunque la vostra band, i The Ritual.

- Ciao a tutti! The Ritual è una band nata ormai quasi 10 anni fa da Marco Obice e Luca Devito, rispettivamente voce-chitarra e batteria. Dopo alcuni anni trascorsi a suonare cover di Pantera, Metallica, Judas Priest, iniziano a comporre pezzi propri verso lidi thrash metal. Nel 2008 subentro alla chitarra, e nel 2009 arriva anche Liuk Abbott al basso , per rendere la band , quello che è oggi; una famiglia, 4 grandi amici che scrivono pezzi metal con mille influenze .



2) So che tu Marco (il chitarrista) sei impegnato anche in altri progetti, fra cui gli illustri Secret Sphere, avanguardisti del progressive power metal. Riuscite a conciliare i vostri progetti alternativi con l’impegno preso coi The Ritual?

- Sicuramente a volte non è facile riuscire a combinare gli impegni di tutti; oltre ai Secret, suono nei Bejelit, power band italiana e Liuk suona in una talentuosissima band metalcore, i Suddenly Collapse. L’impegno però è sempre il massimo in ogni situazione. D’altronde penso che se credi davvero in una cosa, fai di tutto per portarla al più alto livello possibile. Gli sbattimenti non sono un peso. La musica è quello che amiamo di più.



3) Qual è stata la prima risposta dei fans a questa proposta musicale, che ha il chiaro scopo di rivalutare la scena metalcore, offrendogli spiragli di tecnica e originalità compositiva? Avete in progetto di fare un tour?

- Grazie davvero per le bellissime parole! Io penso che la forza di questo disco, stia nel fatto che ognuno riesci a vederci tantissime sfumature diverse; nelle recensioni uscite ci hanno paragonati a Avenged Sevenfold, Heathen, Killswitch Engage, Iced Earth, ecc. . La risposta di addetti ai lavori e ascoltatori, è stata davvero buona al momento. Il primo video ufficiale , ha riscosso buonissimi riscontri , trascinando il disco. Noi ne siamo orgogliosi, per ogni piccolo dettaglio, e siamo molto felici di tutto quello che sta venendo fuori. Promuoveremo al meglio l’album dal vivo, ma prima di partire in un tour, penso che dovremmo cercare di farci conoscere ancor di più, ma chissà col prossimo lavoro sicuramente potrebbe venire fuori qualcosa di buono per l’Europa.



4) Tornando per un attimo all’argomento Secret Sphere (mi rivolgo quindi a Marco), ricordo che tempo fa Marco Garau dei Derdian mi raccontò di aver suonato con la sua band, i Derdian appunto, assieme ai Secret Sphere e che fu un concerto memorabile. Ma che purtroppo era un evento più unico che raro in quanto la risposta generale del pubblico italiano non è sempre positiva o costante nel tempo. La mia domanda quindi è questa: quali speranze ha una nuova band quando cerca un posto nelle scene, quali problemi avvertite e quali soluzioni proporreste per risolvere la situazione?

- Per una band nuova , oggi è davvero difficile riuscire a trovare date; vuoi per l’inflazione musicale che , a mio parere, ormai ha pervaso il mondo intero, vuoi per semi-affollamento di eventi di vario tipo. L’Italia è un paese che ancora deve sviluppare l’autosupporto alle proprie band , come nel resto d’Europa viene fatto. E’ davvero bruttissimo vedere come band “ clamorose” che in altri stati vengono incensate in ogni maniera – Rhapsody e Lacuna Coil per fare due piccoli esempi – vengano trattate coi piedi e senza i giusti meriti. Tutto il sistema sta cambiando, il livello tecnico si è alzato a dismisura e la prova di questo fatto è che oggi ci sono tantissime band made in Italy, che firmano per label straniere tra le più forti , come i grandi Fleshgod Apocalypse, i Tasters, ecc.



5) Quali sono i vostri gusti musicali, e che background avete?

- Ognuno di noi viene dal metal, ma ci distinguiamo moltissimo tra tutti i sottogeneri; Liuk ama il jazz, il rock anni 70 e il progcore di band come Animal As Leaders, Luca è un fan dei Pantera, Lamb Of God e delle follie sonore dei nostri cari amici Empyrios, Marco, il nostro singer, va matto per i Trivium, Avenged Sevenfold ma divora letteralmente Giovanni Allevi, Kenny G, Stone Sour e Alter Bridge. Personalmente passo attraverso quasi ogni genere, vicino al rock in ogni caso, dai Weather Report, fino ad arrivare agli All Shall Perish, per passare ai Fairyland o gli Hardcore Superstar.




6) Ci parlate brevemente dei vostri altri progetti musicali?

- Oltre a Ritual, sono il chitarrista dei Secret Sphere, power metal , con cui stiamo lavorando al nuovo album che uscirà prima dell’estate, e anche nei Bejelit con stiamo proprio finendo in questi giorni il mixaggio dell’album nuovo “Emerge” in uscita a fine marzo su BakerTeam Records. Liuk Abbott invece suona anche nei Suddenly Collpase, band deathcore, con la quale verrà sicuramente fuori nel 2012 con un po’ di materiale :)



7) Spero tanto di potervi vedere al più presto dalle nostre parti, nel Salento. Grazie di cuore per l’intervista! Fate un saluto ai lettori di Metalarci.

- Grazie a voi per il supporto e per la disponibilità. Speriamo di vederci presto on stage. Un saluto a tutti e supportate il metal italiano; ha bisogno di ogni minima voce del pubblico di casa nostra, ha bisogno di essere considerato nello stesso modo in cui viene considerata la scena tedesca o scandinava che sia, abbiamo band letteralmente incredibili, non dimenticatelo.

Grewon


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Recensione HOLY MARTYR

Holy Martyr - Invincible
(2011, Dragonheart (Spv/Audioglobe))
Epic Metal

Tornano sulle scene i sardi Holy martyr, band epic che dopo i precedenti Still at war ed Hellenic Warrior Spirit incentrati su battaglie e tematiche elleniche e romane, presentano questo ambizioso Invicible, incentrato su tematiche samurai direttamente dalla terra del sol levante ispirate dalla filmografia di Akira kurosawa.
Dopo un intro di calma prima della tempesta, il sound epico comincia la sua proverbiale cavalcata con Iwo Jima e la title track Invincible, facendo subito notare l'ottima prova vocale da una parte e la lunghezza dei brani dall'altra.
Lord of war ed Ghost dog mettono da parte solo per il momento le cavalcate maideniane per attestarsi su tempi più buoni per l'headbenging, impreziositi da riff ed assoli di ottima melodia e rara bellezza.
L'intervallo di Soul of my katana da' il là Shichinin no Samurai, che esalta il timbro vocale simile al Bayley dei tempi buoni ed a Kagemusha che sembra un inedito dei Manowar, ma visto il genere espresso è una pecca comprensibile.
Kagemusha, Sekigahara ed Zatoichi, continuano a mixare egregiamente le melodie delle chitarre ad un incalzate prova dietro le pelli, il tutto unito da un timbro vocale che per il genere è superlativo.
Altro ottimo album per la Dragonheart records, che con questo Invincible si assicura un album che gli amanti del genere non dovrebbero lasciarsi sfuggire.
Lavoro, suonato bene e valorizzato da una buona produzione, penalizzato da troppi richiami ai mostri sacri come Iron maiden e Manowar e da un timbro troppo soft che a lungo andare manca di vilenza e groove, ma purtroppo l'originalità e la ferocia non sono il punto forte di questo genere, infatti tolto i fan del genere credo che in pochi valorizzerebbero l'ottimo lavoro tecnico e tematico espresso.

Tracklist:
1. Iwo Jima
2. Invincible
3. Lord of War
4. Ghost Dog
5. The Soul of My Katana
6. Shichinin No Samurai
7. Takeda Shinchen
8. Kagemusha
9. Sekigahara
10. Zatoich

Furia


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Recensione TALES OF DELIRIA

Tales Of Deliria - Beyond The Line
(2011, To React Records)
Death-Core


I baresi Tales of deliria ci presentano questo loro secondo lavoro, Beyond the line, album edito dalla To React Records e dalle sonorità spiccatamente Death svedesi, sia per la ferocia, tipica degli At the gates che per la ricercatezza melodica, più spiccata in gruppi tipo In flames e Dark tranquillity.
Under this shroud non da' materialmente il tempo di capire cosa ti stia arrivando addosso, mentre scatena tutta la furia classica del sound svedese, ottima sotto ogni punto di vista, pezzo in cui tutti gli strumenti coesistono tra loro creando una invidiabile interpretazione dei canoni del sound.
Beyond the line continua a mostrare quanto di buono si era sentito nel pezzo d'apertura, facendo risaltare il lavoro di sezione ritmica che diventa devastante nel reciproco supporto.
Con Towards north, si evince quanto sia grande il potenziale del cantante, anche nell'alternanza di stile padroneggia sempre nel pezzo, ritagliandosi in tutto l'album una prova davvero invidiabile, rapportata al genere.
In my dry reliquary è un pezzo anomalo per quest'album, con un'apertura melodica che non attesta di certo il pezzo ai livelli sentiti fin ora, ma per fortuna, la prova dietro le pelli vale l'ascolto di questo brano.
L'alternanza di tempi cadenzati e ripartenze, suonata a simili livelli, rende The anguish fixer devastante nelle sue ripartenze quanto incalzante nei tempi piu' buoni all'headbanging, brano che dimostra, grazie alla perfetta riuscita, sia il buon livello tecnico dei musicisti che la coesione strumentale nel sound.
Con One thousand ways to die si torna a macinare di brutto, dimostrano nella perfezione d'incastro dei riff, che si può estrapolare un sound originale, anche in un genere, dove tutto o quasi è stato già detto.
A snatched love ed Attack continuano sugli alti livelli dei pezzi precedenti, peccando un po' di retorica didattica nei fraseggi di chitarra, ma è un neo che non va' ad intaccare il valore espresso, anzi è un pregevole modo per arrivare ad Ethereal warrior ed Ethereal warrior II, dove la potenza del blast beat ed un basso macinante, concludono egregiamente un lavoro davvero pregevole.
Masterizzare un album nei Finnvox Studios di Mika Jussila, è una garanzia per il suono, che risulta pulito e feroce e pronto ad esaltare le doti personali degli strumentisti, infatti, come dicevo prima, è molto difficile ritagliarsi un sound personale in un genere dove quasi tutto è stato fatto, in bene ma soprattutto in male (visto che Death svedese coincide troppo spesso con melodie sdolcinate), ma non è questo il caso, tutt'altro.
Doti personali, attenzione al particolare ed attitudine, fanno risultare questo Beyond the line un album che rappresenta in pieno, l'enorme potenziale dell'underground pugliese e soprattutto barese nei generi più feroci ed estremi di Metal.
Ottima prova, che sono sicuro non sarà l'unica nella discografia della band, facendo attenzione a privilegiare l'approccio più diretto al genere, che in questo lavoro è espresso benissimo, senza perdersi dietro fraseggi melodici che tanto piaceranno agli adolescenti ma tanto poco hanno a che fare con la ferocia tipica di questo genere.

Tracklist:

1. Under This Shroud
2. Beyond The Line
3. Towards North
4. In My Dry Reliquary
5. The Anguish Fixer
6. One Thousand Ways To Die
7. A Snatched Love
8. Attack
9. Ethereal Warrior
10. Ethereal Warrior II



Furia


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mercoledì 14 dicembre 2011

Recensione FOLKENTROLL

Folkentroll - Jester Of Chaos
(2011, Autoprodotto)
Folk/Viking Metal

Recensire ep e album prodotti dagli amici non è mai cosa facile: si deve ovviamente cercare di essere il più obiettivi e sinceri possibile, ma al tempo stesso magari evitando di essere troppo “ruvidi” e diretti quando si evidenziano i tratti negativi. Fortunatamente non è un compito molto difficile per l’ep d’esordio dei Folkentroll, intitolato “Jester of Chaos”, che malgrado alcune evidenti pecche risulta essere un lavoro complessivamente degno di nota.
Ma procediamo con ordine, soprattutto per introdurre la band autrice di questo ep. I Folkentroll sono un progetto Folk/Viking Metal salentino, nato per la comune passione dei suoi componenti per l’epicità finnica, che vede come maggiori esponenti Ensiferum, Finntroll, Korpiklaani. L’influenza delle suddette band traspare in ogni singola traccia del breve ep, anche se bisogna ammettere che il genere di riferimento è stato “assorbito” bene dai Folkentroll, che lo ripropongono con melodie e riffing relativamente originali e di facile impatto, oltre che facilmente ricordabili. Se dagli Ensiferum hanno assimilato la componente epica e allegramente battagliera, dai Finntroll una brutalità più cruda, dai Trollfest hanno “rubato” la faccia festaiola e votata al pogo di gruppo ai concerti. Questa caratteristica è la croce e delizia della proposta musicale di questa band: se da un lato li rende estremamente coinvolgenti in sede live, rende il songwriting palesemente meno ispirato nella registrazione da studio. Con questo ovviamente non sto dicendo che le cinque canzoni dell’ep non sono belle, tutt’altro: particolari e caratterizzate tutte da un ritmo incalzante, lasciano il segno e riescono tutto sommato a colpire al cuore, di chi ovviamente ama il genere. In futuro son sicuro che sapranno aggiungere complessità alla loro proposta musicale, in modo da perfezionare ciò che già si attesta comunque su buoni livelli.
A livello di produzione si poteva fare di meglio: evidenti problemi di mixaggio danno troppa luce alla voce, alla tastiera e alle grancasse, mentre sembra quasi come se mettessero il “silenziatore” alle chitarre (soprattutto quella solista) e al basso. Per carità, ogni strumento è riconoscibile, ma l’effetto sarebbe stato senz’altro più convincente con un miglior lavoro a livello di mixaggio. Si sa però che i mezzi a disposizione delle band emergenti sono spesso esigui, essendo il mercato musicale votato alle schifezze neo-melodiche o ai vomitevoli prodotti dei talent show, che uccidono la vera musica suonata col cuore e con l’impegno; pertanto i difetti di produzione vanno tollerati e non criminalizzati.
Tra i sei musicisti, spicca la prova di Federico alle tastiere, che dimostra di essere anche un epico compositore. Senza nulla togliere agli altri: Luca alle batterie che è sempre preciso quasi fosse una drum machine, Marco e Davide alle chitarre che spesso e volentieri si allontanano dai canoni del genere per sfociare perfino nel riffing squisitamente black, Luca che supporta degnamente i suoi compagni col suo basso, e infine Lorenzo e il suo growling molto pastoso e oscuro, in totale controtendenza con lo screaming gutturale tipico del Folk Metal e per questo senza dubbio originale e meritevole di apprezzamenti, così come meritano lode i cori, che sembrano presi pari pari da un disco degli Ensiferum o dei Moonsorrow.
In sostanza, “Jester of Chaos” è un ep sincero e diretto, che non si dilunga troppo nella stesura delle tracce e propone una breve parentesi musicale fatta di epica e sommariamente allegrotta belligeranza musicale. Complessivamente nulla che faccia gridare al miracolo, ma ad ogni modo resta un discreto lavoro che merita più che un ascolto, e che ha delle particolari frecce al suo arco che potrebbero sorprendervi.


Grewon

Tracklist:
01 – Eternal black smoke
02 – Empire of empires
03 – Decadence
04 – God of pints
05 – Amber tears

Contatti:
Sito Ufficiale
https://www.facebook.com/folkentroll
godofpints@gmail.com

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Recensione UNSCRIPTURAL

Unscriptural - Oblivion
(2011, Autoprodotto)
Death Metal/ Black Metal

Un carillon come intro da' il via a questo Oblivion dei calabresi Unscriptural, band delineata in un genere Death Black come matrice, ma con un sound arricchito da ambientazioni horror ed impreziosito da una sezione ritmica davvero invidiabile a dispetto di quanto il genere richiederebbe.
Gia’ ascoltando Pact with satan ci troviamo di fronte ad una matrice Death Black che presto si dipana verso orizzonti più orchestrati in pieno stile Dimmu borgir, dove oltre all’ottima prova di Growl e Screaming del singer, un cantato femminile dà ancora maggior pregio al pezzo.
Con Blood e Werefolf ciò che di buono si era ascoltato prima prende ancora più piede, supportato egregiamente da una batteria sempre sopra le righe e le ritmiche di basso che rendono ottimi i pezzi, anche quando sarebbe difficile perché il sound tra latrati ed ululati tende esageratamente verso la versione Moonspell del genere.
The ritual ed Unscriptural variano ennesimamente il sound verso soglie molto più gradite, impossibile non fare capo a Celtic frost e Bathory in questi due pezzi, lenti e micidiali nel loro dipanarsi, anche in un pezzo che dura oltre 12 minuti, ogni colpo è assestato con una maestria tale che il brano non risulta mai monotono, anzi micidiale nel suo incalzare e tutto mi sarei aspettato da un album di questo genere tranne che potesse regalare una “cavalcata” di simile bellezza, frutto dell’ottimo lavoro d’ incastro di tecnica strumentale e stili di canto proveniente da sound diversi tra loro, ma fatti abilmente coesistere.
Un’altra perla di calabra fattura questo Oblivion, lavoro che mette in mostra ottima coesione strumentale supportata dalla parte sinfonica senza mai che questa prenda possesso del sound, infatti, credo che i due punti forti di questo lavoro siano che il sound vero e proprio, è suonato e radicato a generi estremi che i componenti masticano molto bene, quindi la parte sinfonica è un abile contorno che non snatura la matrice estrema del sound, e la produzione davvero pulita che esalta suoni che diversamente sarebbero risultati di dubbio gusto. Pur non essendo un noto ammiratore di sinfonie e sinth vari, devo ammettere che ques’album è davvero interessante, e finchè resta l’equilibrio tra le diverse nature del sound, questa band può ritagliarsi di diritto un posto tra le band più promettenti del nostro panorama.

Furia

Tracklist:
1. Pact With Satan
2. Blood
3. Werewolf
4. The Ritual
5. Unscriptural

Contatti:
http://www.myspace.com/unscriptural
https://www.facebook.com/Unscriptural

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Recensione RAIN

Rain - XXX – 30 years on the road
(2011, Aural Music)
Hard Rock/Heavy Metal

Leggendo XXX viene subito in mente qualcosa di...“proibito”. Dal sottotilolo però capiamo che è molto di più: “30 years on the road”. I Rain compiono trent'anni. Trent'anni di duro lavoro e di sacrifici ma anche di grandi soddisfazioni. Festeggiano con l'uscita di un disco, che è in effetti un “greatest hits”, una raccolta* di tutti i brani più conosciuti della band. Mi soffermo un attimo su questo argomento. Perchè fare una raccolta dei brani più significativi? Doveroso festeggiare la ricorrenza (30 anni sono tantissimi); ma perchè non farlo con un nuovo lavoro? In fin dei conti stiamo parlando di una band che ha 7 album all'attivo (comprese demo) e penso che di tempo per assimilare i brani ce ne sia stato in abbondanza. Non capisco se sia stata una mossa commerciale oppure la band è un po' a corto di idee. *Ho usato un po' impropriamente la parola “raccolta” dato che i brani sono stati riarrangiati e registrati nuovamente. Comunque, torniamo a parlare di XXX. Sono 13 i brani presentati, tutti in stile tipicamente Rain, tra i quali anche l'unico e nuovissimo inedito Whiskey on the Route 666 che sa tanto di stelle e strisce già dal titolo! Un Hard-Rock anni '80 semplice ed efficace ma senza troppa originalità. Decisamente più originale Blood Sport, brano di apertura di XXX. Colpisce l'utilizzo dell'elettronica che va a completare il lavoro della batteria, senza risultare eccessiva. Born to Kill è, invece, di stampo più Heavy-Metal con ritmi tirati e sovraincisioni di voci che mi ricordano un po' . Alcuni brani, tra i quali End of Time, passano inosservati: sono scialbi, senza grinta, senza groove, piatti, insomma...ci siamo capiti! Per il resto sembra un “album periodico”! Dopo alcuni pezzi si ha l'impressione che si ripeti lo stesso copione ad intervalli regolari di tre-quattro brani: uno più spinto e Heavy-Metal, uno meno “dogmatico”, arricchito con elettronica o artifici di editing (come l'inizio di Only Your Dreams ad esempio) e per finire un “pezzo-flop”. Quello che spezza un po' l'equilibrio è Rain Are Us, riarrangiata in una versione acustica su cui c'è un bel gioco di voci. Una ballad davvero ben fatta! La lenta The Gate è introdotta da un arpeggio di chitarra che conferisce al pezzo un'impronta più “Ambient” che sarà presente un po' su tutto il brano. Ultimo pezzo da citare è We Want R'N'R, a mio avviso il più riuscito dell'album. Il ritornello è di quelli che entrano nella testa e non ne escono più; forse complice il timbro vocale, il brano ricorda moltissimo gli Iron Maiden di “The X Factor” e “Virtual XI”, quelli con Blaze Bayley alla voce per capirci. Per concludere, l'album non è del tutto convincente; certamente è suonato molto bene tecnicamente, gli arrangiamenti suono buoni ma qualche brano manca un po' di grinta e risulta un po' stantio. Ottima, invece, la prestazione del vocalist che colpisce sia sulle parti pulite e profonde, sia su quelle più aggressive o acute. Nulla da dire, inoltre, sulla produzione (non a caso il mastering è stato affidato ai Cutting Room Studios di Stoccolma). I fans dei Rain non saranno certamente scontentati da questo lavoro e neanche gli amanti dell'Hard Rock più puro!

Pasq

Contatti:
http://www.raincrew.com
http://www.myspace.com/raincrew1980


Tracklist:
01-Energy
02-Whiskey On The Route 666
03-Blood Sport
04-Rain Revolution
05-The Gate
06-Born To Kill
07-We Want R'n'R
08-In the night
09-End Of Time
10-Only Your Dreams
11-Fight For The Power
12-Only For The Rain Crew
13-Rain Are Us (Acoustic Version)

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Recensione THE RITUAL

The Ritual - Beyond The Fragile Horizon
(2011, Bakerteam Records)
Speed/Metalcore


Qualche giorno fa ho ricevuto un’email da Marco Pastorino, chitarrista dei Secret Sphere, una Progressive/Power band italica che io ho praticamente quasi idolatrato da sempre: sebbene siano rimasti relativamente nell’underground (colpa di un mercato musicale malato che premia solo le schifezze e nasconde i talenti autentici), hanno dimostrato con i fatti e in più riprese di essere una band validissima sotto ogni aspetto. Ricevere una mail da Marco scatenò un brivido di emozione lungo la mia spina dorsale, anche se la richiesta non era di recensire un nuovo lavoro dei Secret Sphere, ma il debut album del suo side-project, i “The Ritual”, che a parte pochissime influenze, si discostano diametralmente dal Power Prog tipicamente italiano con cui nel quindicennio appena trascorso ci hanno deliziato le orecchie band del calibro di Vision Divine, Labyrinth, Secret Sphere, Athena.
Qui la musica è letteralmente cambiata: la musica dei The Ritual si associa invece alla scena tipicamente Hardcore, che attualmente vede come maggiori esponenti i Bullet For My Valentine, band purtroppo bistrattata dai metallari “true” e amanti dell’old school, e che d'altronde disprezzano tutta la scena Metalcore in genere.
Ma non è tutto: nel disco sono chiaramente visibili alcune leggere metafore sonore che ci ricordano l’AOR dei Vision Divine col sommo Michele Luppi alla voce (in “Jason on the river”), assoli di Progressive oscuro sulla falsariga dei Dream Theater di “Train Of Thought” (in “Hysterya & madness”), avanzamenti Catchy e un po’ Hardcore (in Shoot me), ballate elettroniche dal sapore “Hoobastankiano” (in “Without”). “Beyond The Fragile Horizon” tuttavia è nel complesso coerentemente Metalcore, ma si discosta dalla massa di questo saturato genere grazie a un elevatissimo livello tecnico (e che i Bullet For My Valentine possono soltanto sognare), ma anche stranamente di un buon songwriting e particolarità delle tracce. Particolare abbastanza bizzarro, in quanto la caratteristica peculiare del Metalcore è proprio quella di essere generalmente monotono e di presentare i soliti ritmi e melodie, perché il suo scopo è quello di far pogare (o, usando un termine dei bimbiminkia poser, “moshare”) ai concerti, puntando su un feeling energetico piuttosto che sull’originalità compositiva, qualità quest’ultima che invece sembra non mancare affatto nell’album dei The Ritual, anche se tuttavia risulta incatenata nei dettami del genere principale che in un certo senso limita l’impareggiabile talento dei musicisti di questa band. Il cantato, sebbene non sia tecnicamente una cima e si faccia prevalentemente “appoggiare” da cori ed effetti (ma è il Metalcore che lo chiede!) si fa comunque notare per la pronuncia inglese più che discreta.
Difetti evidenti? Si, uno: mentre la prima metà del disco è di una notevole bellezza e originalità compositiva, nella seconda metà il ritmo cala e si fa meno incalzante, e anche l’attenzione cala con lui.
In sostanza: ai fanatici del Thrash/Death tradizionale o comunque del metal estremo non posso garantire che il disco piacerà, di probabilità credo ne abbia poche. Ma generalmente ne consiglio l’acquisto e l’ascolto, perché di frecce al proprio arco ne ha diverse: se la scena Metalcore avesse più dischi come “Beyond the fragile horizon”, sicuramente godrebbe di molta più considerazione e popolarità.

Grewon

Tracklist:
01 – Beyond the fragile horizon
02 – Show me what you can do
03 – Jason on the river
04 – Hysteria & madness
05 – Shoot me
06 – Without
07 – Together
08 – The slave
09 – The liar
10 – Nothing is the same (sacrifice)

Contatti:
http://www.myspace.com/theritualthrash

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Recensione MYSTICALL FULLMOON

Mysticall Fullmoon - Scoring A Liminal Phase
(2011, Autoprodotto)
Black Metal

Da Milano Il Black dei Mysticall fullmoon, con un ambizioso progetto sia nel sound che nelle tematiche, incentrate su una visione filosofica misticista.
As i walk along the dark paths of my soul è devastante sin dall’inizio, facendo subito capire la natura estrema dell’interpretazione Black della band, tempi tiratissimi sostenuti da uno screaming sempre all’altezza, anche quando il pezzo varia in ripartenze ed intramezzi di rara bellezza e tecnica nell’intreccio….tanto mi riportano alla mente gli Ulver questi preziosismi in un simile estremo sound.
Hives è un simpatico intermezzo che apre a Per speculum in aenigmate,e qui sono badilate nei denti…..una violenza pari alla devastazione di Aborym e Malfeitor, resa unica e personale dall’uso di partiture che fanno rifiatare prima della nuova badilata.
L’intro di Opening the shrine of Janus, da solo varrebbe il prezzo dell’album, ma il prosegui è anche meglio, gelido e letale,dalla pazzesca jazzata di Daleth: journey, ad Omen - Capricorn vibe, un sound perfetto, gelido feroce e letale, di una precisione chirurgica.
Limbonica Mysteria, esaltando la precision del blastbeat ci porta dritti all’ennesimo intramezzo Progression ov thee revelation: nigredo. Mars, Prometheus unbound torna ai fasti della matrice Black pura, dove ad una prova chirurgica dietro le pelli i gelidi riff, ci portano verso un introspettivo di pathos in pieno stile Arcturus che quando riparte non esita a far male, grazie anche alla versatilità della prova vocale sempre sopra le righe.
May Wisdom bless my path, chiude maestosamente questo lavoro, miscelando in un pezzo di oltre 10 minuti, (di cui 8 reali), tutto quello che fin ora si è sentito, un sound devastante, suonato alla perfezione ed impreziosito da una sezione ritmica massacrante, una prova vocale fantastica e parti più ragionate davvero gustose e geniali.
Un po’ per la collaborazione con la Bulgarian National Radio Orchestra, che per la presenza di membri dei Mortuary drape e degli Ancient come guest, questo lavoro prende ancora più valore, anche se tanto farà incazzare i puristi del genere, ritengo che questo album abbia vinto la sua ambiziosa scommessa, facendo coesistere diverse nature ed interpretazioni del sound Black senza mai snaturarne la matrice, ma impreziosendola e rendendola unica.
Lavoro di rara bellezza ed ottima fattura che spero la band continuerà a regalarci.

Furia

Tracklist:
1) As I walk along the dark paths of my soul
2) Hives
3) Per speculum in aenigmate
4) Opening the shrine of Janus
5) Daleth: journey
6) Omen - Capricorn vibe
7) Limbonica Mysteria
8) Progression ov thee revelation: nigredo in Mars
9) Prometheus unbound
10) May Wisdom bless my path

Contatti:
http://www.myspace.com/mysticalfullmoon
http://www.mysticalfullmoon.com/

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LIVE REPORT ESSENZA + MNEMOS

07-12-2011 - Essenza + Mnemos @ L'insonne - San Cassiano (LE)

Arrivata a "L'Insonne", San Cassiano, la prima cosa che mi colpisce è lo stile del locale, esteticamente piacevole non è enorme ma si sa, non è certo la metratura a far sì che una bella serata all'insegna della buona musica si concluda positivamente. Il posto comincia a riempirsi sempre di più, questa volta non ci sono solo i classici amici delle band o in questo caso del festeggiato Antonio (batterista degli Mnemos), sono presenti anche volti nuovi presumibilmente del posto o attirati dalla serata live in sè.
Cominciano a suonare i giovani "Mnemos",gruppo formatosi nel 2009 dall'incotro di Ludi De Ronzis (voce) e Francesco Probo (chitarra) tramite il loro insegnante di chitarra. La band sin da subito crea nuovi brani con uno stile molto personale. Alla batteria Alberto Probo nonchè fratello del chitarrista e al basso Michele Dell'Abate.
In questa serata ci fanno ascoltare per la prima volta alcuni inediti in vista dell'uscita del loro nuovo album.
La graziosa front girl affascina immediatamente con la sua morbida e trasportante voce.

Uno stile particolare,direi ben definito nonostante varie mescolanze fra classico Rock anni 90 e sperimentale. I pezzi sono tutti caratterezzati da questa impronta stilistica e al tempo stesso sono abbastanza diversi da mantenere sempre accesa l'attenzione e la voglia di scoprirli secondo dopo secondo. Buona la scelta di fare alcuni brani anche in italiano, a mio avviso con un ottimo risultato. Se segui il genere non possono non piacerti e affascinarti, auguro ai ragazzi di continuare su questa strada perchè hanno un potenziale non indifferente.
Arriva il turno degli Essenza, band attiva dal lontano 1993, formata dai due fratelli Carlo Giuseppe Rizzello (chitarra e voce), Alessandro Rizzello (basso) e Paolo Colazzo (batteria). Un' esplosione "Heavy" da far spalancare gli occhi a chi proprio non se l'aspettava perchè magari non era a conoscenza della band e della sua musica. La cosa che mi ha affascinato di più è stata la reazione della gente, sin dall'inizio si è creato in prima fila un muro umano di capelloni che ondeggiavano a ritmo e dietro di loro il classico immancabile pogo il tutto sotto lo sguardo stupito di chi poi si è fatto prendere dalla situazione e ha cominciato a diverstirsi.. Possiamo dire che gli "Essenza" hanno avuto il merito di coinvolgere anche chi col genere non aveva nulla a che fare! Musicalmente e tecnicamente parlando impeccabili, hanno suonato fino a sfinire la folla rimasta sicuramente soddisfatta della serata. La loro discografia vanta 5 album, due demo e 5 compilation, e l'esibizione si è incentratrata sui brani che attualmente rappresentano il gruppo ovvero quelli di "Devil's Breath", partendo dall'omonimo "Devil's Breath", alla mia preferita "Rock 'n' roll blood",a "Deep into your eyes", "Dance of liars", "Edge of collapsed world", "Universe in a box".

Infine un tuffo nel passato attraverso i vecchi pezzi come l'immancabile "L'Alieno è su di noi" dall'album "Suggestioni" del 2000.

Un particolare riconoscimento va anche a "L'Insonne" di San Cassiano perchè i locali che accolgono e danno la loro disponibilità per questi eventi contribuiscono a mantenere viva la scena musicale Rock/Metal salentina e non è roba da poco!


Rigmor


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Recensione INJURY

Injury – Unleash The Violence
(2011, Punishment 18)
Thrash Metal

Attivi da fine 2008 gli Injury han subito capitalizzato al meglio il loro demo firmando nel 2010 con la Punishment18. Fiducia ben ripagata direi, visto che l’album che ne è scaturito è un buon prodotto che sicuramente andrà incontro ai gusti di tanti affamati thrashers nostrani.
“Unleash the Violence” è un condensato di Thrash che si ispira principalmente agli Exhorder di “Slaughter in the Vatican” e ai Testament di “The Gathering” , non disdegnando qualche passaggio che rimanda a gli ultimi Exodus.
Se ciò non è bastato a identificarvi gli Injury ascoltate “The Execution” , una bordata Thrash d’altri tempi, con una sezione ritmica davvero micidiale, qui come in tutto l’album, in cui tutti e 5 i componenti danno il meglio, formando un sound duro e presente, irrobustito da una produzione solida e corposa.
I 40 minuti di “Unleash the Violence” non lasceranno indifferenti chi cerca una sana overdose di Thrash potente e attuale, senza forzature core o eccessi di nostalgia retrò al limite del plagio.
Pur suonando abbastanza omogeneo ( e ciò a seconda delle sfumature diventa un pregio come anche un difetto) emergono pezzi come “Ignorance” (tostissima opener) come anche la succitata rasoiata di “The Execution”, la caratteristica “Death Routine” con un groove davvero niente male, ma soprattutto l’abbondante “Fear of Nothing” (tanta roba davvero!) masterpiece dell’album a mio parere.
Buono anche il lavoro su testi e artwork che rimandano al titolo, la violenza scatenata dal conflitto tra due folle contrapposte, da una parte i religiosi, con i loro simboli di fede e dall’altra gli atei guidati dal loro uso della ragione.
Il Thrash italiano è vivo, vegeto e pronto a spaccare tanti culi molli. E gli Injury stanno tra quelli che menano.

Torrrmentor


Contatti:

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http://www.myspace.com/injuryviolence
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mercoledì 23 novembre 2011

Speciale Ultime Uscite - Opeth

Opeth – Heritage
(2011, Roadrunner records)
Prog

Attendevo questo disco con ansia, ma ahimè, son rimasto deluso. Per carità, non è malaccio, ma non è riuscito a trasmettermi alcuna emozione. Musicalmente (e anche come songwriting) siamo sui livelli del precedente Watershed, ma in Heritage è stato totalmente abbandonato il growling, in virtù di un cantato pulito gradevolissimo che però toglie ogni speranza di aggressività e durezza. Se Damnation (altro album degli Opeth cantato interamente in clean) sembrava fosse suonato dai moderni Katatonia (band dove peraltro ha prestato la voce lo stesso Akerfeldt), questo Heritage richiama parecchio i Porcupine Tree. Se pertanto amate questo tipo di sonorità acquistate senza riserve Heritage, ma non sperateci di trovarci del Metal all’interno. Ho molto apprezzato tuttavia l’ultima traccia del disco, senza dubbio la mia preferita perché nella sua malinconia imperante mi ha riportato alla mente il periodo d’oro degli Opeth, ormai superato da un decennio, e sul quale mettiamoci l’anima in pace: non ritornerà più.

Voto: 5,5/10
Grewon


Heritage è un album evoluto, metamorfico, creativo ed estroso, ma un side project dai lontani Opeth di “Morningrise” o “Deliverance”. Come gran parte dei gruppi Progressive lentamente il sound è stato stravolto, pur mantenendo un coerente gusto di fondo; in Europa sembra essere in atto un vero e proprio “revival” delle sonorità anni 70', nuovo trend con il fine di stemperare la stagnante scena. “The devil's orchard”, manifesto dell'album, appare il brano dalle qualità piu esplicite, seguito a ruota da “Folklore” dal gusto erudito, e ancora dall'enigmatica “Nepenthe”. Akerfeldt deve aver diviso numerosi fan con un album ben curato ( mixato da Steven Wilson dei Porcupine Tree ) ma indicato ad un mercato diverso e sottoposto ed una fanbase inadatta.

Voto: 7 / 10


Vandrer


“Etereo”. E’ questo l’aggettivo che più si addice a questo nuovo lavoro degli Opeth. Ancora una volta Akerfeldt e soci hanno tirato fuori dal cilindro un album di pregevole fattura andando a toccare le ambientazioni Prog Rock degli anni 70 con la solita classe che li contraddistingue. Il tributo da pagare si ha in termini di potenza, sono pochi infatti, i momenti in cui si fuoriesce da questi schemi, ciò se da una parte ci ruba la componente Death degli Opeth, dall’altra ne esalta la raffinatezza del sound e la delicatezza della voce clean di Akerfeldt (ottima prova la sua!) .
Estrapolare singoli brani dal loro contesto è inappropriato in quanto tutti gli episodi sembrano essere incastrati in modo armonioso tra loro a formare qualcosa di continuo, ma dovendone citare qualcuno senza dubbio la scelta cade sulla bellissima “The Devil’s Orchard”, seguito da “Haxprocess” e “Folklore”. Nota di merito anche alla produzione che contribuisce non poco a creare l’atmosfera retrò che si respira in “Heritage”.

Voto: 8/10
Torrrmentor


L' ultima fatica degli Opeth intitolata Heritage si presenta da subito come un lavoro che merita molta della nostra attenzione. I nostri come si può immediatamente notare hanno stretto l’occhio al Rock Progressivo anni settanta e il prodotto risulta molto ispirato e suonato alla perfezione,ma su questo non avevamo dubbi; di quello che erano gli Opeth in passato persistono degli elementi stilistici facilmente riconoscibili che fanno da guida attraverso l’evoluzione subita della band in quanto i brani risultano molto ricercati; basso e batteria si intersecano fra di loro tessendo ragnatele sonore che si sposano positivamente con le linee vocali di Akerfeldt. In molte tracce del disco risulta piacevole l’utilizzo dell’organo hammond e dei flauti di “Andersoniana” memoria. In conclusione “Heritage” è un lavoro che si distacca completamente dal mondo Death Metal per sconfinare in quello del Prog-Rock ed è per questo che chiederà un maggiore sforzo di comprensione ai fans, nonostante questo è un ottimo disco che in prospettiva potrebbe trasformarsi in una pietra miliare della musica.

Voto: 7,5/10
Vicustrodden


Niente growl né ritmi ossessivi di batteria in Heritage, album che si discosta completamente dai canoni del Death Metal che avevano contraddistinto i precedenti lavori della band. Che dire? Sicuramente una grande prova di coraggio perchè è molto difficile abbandonare un sentiero che sai dove ti porta per scegliere una strada buia e piena di insidie. Gli Opeth approdano ad un ProgressiveRock anni '70 che ricorda quello dei King Crimson; certo la scelta farà discutere gli amanti del “vecchio” Death Metal ma, d'altra parte, aprirà le porte ad un pubblico più diversificato e poi non bisogna dimenticare che quello degli Opeth è stato un lungo percorso di maturazione che ha raggiunto il culmine. Heritage, decimo album del gruppo, è senza dubbio il più completo sul piano prettamente musicale e tecnico, sia su quello “emozionale”: i brani sono permeati di quell'intensità che negli altri lavori non era così trasparente. Una miscela di Rock classico, Prog e Fusion che colpisce immediatamente, già al primo ascolto anche se riascoltandolo si può cogliere qualcosa di nuovo, che magari sfugge all'ascolto superficiale. La produzione è molto buona: si nota come la ricerca dei suoni è mirata ad “omaggiare” il grande Rock di quegli anni andati! In definitiva Heritage è un lavoro che stupisce assolutamente!

Voto: 8/10


Pasq


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martedì 22 novembre 2011

Recensione EchO

EchO - Devoid Of Illusions
(2011, Autoprodotto)
Doom Metal/Depressive Rock

No, mi dispiace, io non ci credo. Non è possibile, ci deve essere qualcosa che mi sfugge. I dischi di debutto di qualsiasi band si caratterizzano quasi sempre per una produzione non impeccabile, per un songwriting diretto e viscerale ma poco studiato, e per un mood generale acerbo e insicuro. È normale, perché solo dopo aver prodotto qualcosa ci si può rendere conto di ciò che si cerca veramente dalla musica, e lo si persegue alla luce dei risultati ottenuti. Per gli EchO invece non è così: nonostante sia il loro debut album, “Devoid of illusions” si candida a diventare una pietra miliare del genere di riferimento, grazie alla compattezza, alla limpidezza del suono, alla genialità delle idee proposte e all’innovazione che in questo modo hanno portato in un genere musicale, il Doom Metal, purtroppo pieno di band che si scopiazzano a vicenda fossilizzandosi un po’ troppo sui canoni definiti dello stile senza aver voglia o coraggio di sperimentare cose nuove.
Nello specifico gli EchO propongono un Doom Metal farcito di varie mescolanze e contaminazioni, perfettamente riscontrabili nelle varie parti del disco. In quasi tutte le tracce che compongono l’album è facile trovare sezioni e inserti associabili al Depressive/Psychedelic Rock degli Anathema, in perfetta simbiosi con l’anima di Doom seminale che funge da “spina dorsale” per il tutto, sfociando spesso e volentieri in accelerazioni Death o rallentamenti tipicamente Funeral Doom. Remembrance, Mournful Congregation, Katatonia e Draconian fra i riferimenti più azzeccati per le varie influenze.
Devoid of illusions” è stato registrato in Inghilterra, e a livello di produzione non si può davvero trovare un singolo difetto: perfino il mixaggio (che molto spesso è una carenza nei debut album) è impeccabile.
Il punto forte del lavoro, tuttavia, è il songwriting: i lunghi pezzi che lo compongono sono tutti chiari e concisi nel loro incedere sincopato. Nessuna traccia filler, nessun calo di tono. E stranamente, si fanno notare per la loro varietà: l’alternanza di growling e clean, e musicalmente parlando di parti tirate, rilassate e acustiche, forniscono all’ascoltatore quella voglia di riascolto che difficilmente lo abbandonerà: l’esperienza sonora di “Devoid of Illusions” è in grado di regalarci sempre qualcosa di nuovo. La tastiera, fra suono di pianoforte e accompagnamento d’ambiente; le chitarre, pesantemente incessanti ma anche oniricamente melodiche; il basso e la batteria, cadenzati e sciolti nel composto sonoro, a strutturare ritmicamente il liquido e sognante lavoro degli altri componenti. Come non parlare infine della voce, calda e soffusa nelle parti clean, feroce e cavernosa quando l’anima più dura viene allo scoperto, e con un’ottima pronuncia inglese che è una dote da considerare se si ha intenzione di varcare i confini italici.
Devoid of illusions” è un disco intenso ed emozionante, che sembra partorito da una band con già diversi album alle spalle. L’acquisto è caldamente consigliato veramente a tutti, tranne a coloro che per propria natura disprezzano i tempi andanti o troppo rilassati. Alla luce del loro eccellente lavoro ma anche delle loro “condivisioni di palco” con grandi formazioni tra cui gli Agalloch, i Forgotten Tomb e gli Opera IX, auguro agli EchO di ottenere il successo planetario, perché se lo meritano: “Devoid of Illusions” è senza dubbio il miglior disco underground che io abbia ascoltato nel 2011, e noi italiani dovremmo esserne orgogliosi.

Grewon

Tracklist:

01 – Intro
02 – Summoning the crimson soul
03 – Unforgiven march
04 – The coldest land
05 – Internal morphosis
06 – Omnivoid
07 – Disclaiming my faults
08 – Once was a man
09 – Sounds from out of space



Video
http://www.youtube.com/watch?v=i-JLsvymEwE&fb_source=message


Pagina facebook della band
http://www.facebook.com/pages/EchO/141116903052


Link diretto al webstore di Solitude Prod per l'acquisto di "Devoid of Illusion"
http://www.solitudestore.com/en/product/echo-2011-devoid-of-illusions/

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Recensione DRAUGR

Draugr – De Ferro Italico
(2011, Autoprodotto)
Pagan Hordish Metal

Lo ammetto, ero molto ansioso di ascoltare e poter recensire il nuovo album dei Draugr, band abruzzese con un nome forse non altisonante, ma di indubbio talento e di notevole capacità compositiva. Il loro primo disco, “Nocturnal Pagan Supremacy”, era di ottimo spessore, e proponeva un Black/Thrash Metal molto feroce con alcune venature Folk. Molto deciso e convincente nella prima metà, calava leggermente di coerenza qualitativa nella seconda parte, senza però nessun brusco calo di tono. Ora, a distanza di ben cinque anni molte cose sono cambiate: sono state apportate diverse modifiche e scelte coraggiosissime, tra cui quella di cantare l’intero disco in lingua italiana, scelta decisamente molto originale nel Metal estremo e per questo assai gradita. A livello di sound, invece, ci si è allontanati dal Pagan/Black/Thrash per sfociare in altre contaminazioni forse più “easy-listening”, ma mai banali e scontate: si alternano infatti momenti più tetri e oscuri, tipicamente Black, a inserti Folk, a parti di rabbiosa furia epica, accostabile per molti versi alla proposta dei primi Arthemesia o degli Ensiferum più ispirati, anche per l’utilizzo massiccio della tastiera che ricrea ambientazioni sinfoniche e wagneriane sulla falsariga dei Domine, accostamento riscontrabile in maniera chiara e distinta nell’opening e nella parte conclusiva dell’album. I Draugr amano chiamare il loro genere “Pagan Hordish Metal”, e direi che la definizione ci sta alla grande.
Tutti i musicisti, ad ogni modo, si trovano perfettamente a loro agio nella loro nuova direzione musicale, creando un disco molto più completo, eterogeneo ma al tempo stesso compatto e solido, convincente e massiccio nel suo incedere epico e battagliero, appassionato e appassionante qualunque sia l’orecchio che lo ascolti. Brillante è anche il contributo dei membri dei FolkStone agli strumenti a fiato. Superba prova anche per Svafnir, che nonostante si caratterizzi per uno screaming tipicamente Black, non sfigura nemmeno quando si cimenta nella “Humppa Metal”. Dà tuttavia sfoggio del suo immenso potenziale nelle parti più feroci, mentre nelle altre si fa aiutare dai cori, scelta tipica del Viking Folk. Il brano che più mi ha colpito è “L’augure e il lupo”, autentica perla musicale che è riuscita a farmi commuovere per la sua struggente epicità. L’episodio peggiore invece è probabilmente “Legio linteata”, tipica canzone “filler” e tirata, simpatica e piacevole ma forse non esattamente all’altezza delle altre splendide tracce.
Riguardo i testi, ahimé, devo purtroppo sollevare una piccola questione, riguardante la superficialità con cui è stato affrontato l’argomento trattato e cioè lo sterminio della civiltà pagana italica ad opera dell’imperatore romano Teodosio, che imponeva il culto cristiano con la forza. Essendo che all’epoca il cristianesimo godeva di ottima popolarità, diversi imperatori abbracciarono in maniera ipocrita il nuovo culto servendosene per mere questioni politiche, ma ne falsificarono quindi il messaggio originario. Il disco, anziché prendersela con gli esecutori reali e fisici dello sterminio, si accanisce esclusivamente contro il culto cristiano, l’unica cosa che con lo sterminio non centrava proprio nulla.
Tolto questo pensiero, davvero non resta nessun’altra critica possibile per “De Ferro Italico”: anche a livello di produzione e mixaggio ci si trova infatti su elevatissimi livelli, paragonabili persino ai lavori della “Metal Blade”. Non è blasfemia: ascoltare per credere. Per concludere, consiglio vivamente l’acquisto e l’ascolto di questo disco a tutti gli amanti delle sonorità epiche e battagliere e del Black Metal non troppo “true”. Gli altri, possono comunque dare una possibilità alla formazione abruzzese: non ne resteranno certo delusi.

Grewon

Tracklist:

01 – Dove l’Italia nacque
02 – The Vitulean empire
03 – L’augure e il lupo
04 – Ver sacrum
05 – Suovetaurilia
06 – Legio linteata
07 – Ballata d’autunno
08 – Inverno
09 – Roma ferro ignique
10 – De ferro italico

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Intervista - MERCILESS PRECISION

1) Com’è stata la vostra esperienza in Italia e al sesto Vulgar Fest?

Ciao. Tutto il tempo che abbiamo trascorso in Italia è stato assolutamente fantastico; la gente che abbiamo incontrato era accogliente, indifferente agli sguardi lunghi e penetranti a cui siamo stati soggetti a Manduria. Il cibo era meraviglioso, il posto era interessante, e ci siamo trovati perfino a socializzare con un grindcore dog razzista di nome Fernando. Quando siamo arrivati al luogo preciso del festival, siamo stati trattati incredibilmente bene, abbiamo visto una bella schiera di gente barbuta e abbiamo mangiato del cibo ancora più epico grazie agli Indian Bikers MC. Le bands che hanno suonato lì erano piuttosto solide, e siamo stati felici non solo di riavere con noi i vecchi amici dell’Oblivionized/Regurgitate Life tour, ma anche di farci parecchi nuovi amici italiani. Non capivamo una fottuta parola di ciò che molti di loro dicevano, ma avevano tutti dei buoni gusti (anche se a loro piaceva la nostra band). I bikers erano tostissimi e i tecnici del suono che hanno lavorato quella sera hanno fatto un lavoro brillante rendendo il nostro sound spaccatimpani come sempre. Anche il pubblico era piuttosto piacevole; ci urlavano contro, pogavano, ballavano in maniera assurda, e tutte le altre cose che ti aspetteresti da un pubblico malato; si son fatte vedere perfino delle donne, che è una cosa insolita, ma comunque è un qualcosa a cui ci abitueremmo facilmente. Abbiamo dormito poco a causa di una grassa sgualdrina che faceva rumore fino alle quattro di mattina entrambe le notti in hotel, e una caccia all’uomo fino alle sei di mattina per Zac, Zed, Black Phil e me dopo il festival, ma comunque abbiamo passato un periodo fottutamente grandioso, e sicuramente ritorneremo presto in Italia per avventure ancora più violente e depravate.

2) Il vostro sound è molto estremo, ma le vostre performance live sono addirittura migliori, anche la scena britannica è così estrema?

Prima di tutto grazie per i tuoi complimenti; il fatto che la gente in Italia ha gradito la nostra proposta significa molto per noi. La scena britannica è abbastanza varia; a volte facciamo serate dove le persone si scatenano le une sulle altre, e a volte ci sono serate dove siamo soltanto noi a scatenarci e a spaccare cose. Ad essere onesti, il pubblico che avevamo in Italia era di gran lunga il più grande per cui abbiamo mai suonato, e in questo senso era un piacere trovarsi così distanti dal Regno Unito. Ci sono un sacco di concerti in Inghilterra, ma ad essere onesti non ci sono molte band Grindcore al nostro livello, e molti concerti non sono poi così estremi. C’è una scena Metal abbastanza buona a Bristol (la città più vicina da dove abitiamo), e anche una discreta scena Hardcore-Punk. Recentemente ci siamo trovati a suonare con i Severe Torture, pertanto ci sono anche delle buone band che vengono da tutta Europa, che aiuta molto il processo.

3) Perché, secondo voi, le band estreme hanno meno occasioni di suonare?

Io penso che le band estreme avranno sempre meno occasioni di suonare, semplicemente perché la maggior parte della gente che comanda il mondo sono fottute femminucce. Penso che dobbiamo solo imparare a conviverci: una delle cose più belle della musica estrema è che abbiamo un piccolo ma affezionato gruppo di persone che davvero vivono per la scena underground. È vero che la gente è tenuta lontano dall’aggressività, la ferocia e l’intensità della musica, ma come dico sempre io, è semplicemente la natura del genere: significa che dobbiamo fare meno concerti rispetto alle altre band, ma questo non ci importa.

4) Avete mai pensato di addolcire il vostro sound, in modo da avere più occasioni di suonare dal vivo?

Non giudichiamo i musicisti che preferiscono suonare in band commerciali, ma non vorremmo mai che la nostra band lo fosse. Siamo consapevoli che se smettessimo di colpire la gente ai concerti e rompere loro i denti allora potremmo fare più serate, e ancora di più se aggiungessimo suoni melodici in modo che più ragazze e omosessuali ci apprezzino, ma come ho detto prima, la nostra musica non è fatta per i ragazzini o le femminucce, quindi non siamo disposti a compromettere il nostro sound per piacere alle persone con jeans attillati, tatuaggi da marinaio o ciuffi emo. Non giudichiamo la gente a cui piace civettare in discoteca ma la nostra musica non è per loro.

5) Quali progetti possiamo aspettarci dalla vostra musica per il futuro?

Beh, abbiamo già delle registrazioni, quindi molto presto il nostro ep “Blood God” dovrebbe essere pubblicato (è stato registrato da Sammy Urwin dei Regurgitate Life e degli Oblivionized) attraverso Malignant Manifestation Productions, e un altro lavoro seguirà subito dopo e conterrà altro materiale inedito. Non solo, abbiamo anche in programma uno split con un’altra band britannica chiamata Lance Uppercut (che speriamo possa essere inciso anche su vinile oltre che su CD). Abbiamo alcune ottime date per il 2012, incluso un tour in Messico per il mese di Maggio, e faremo da supporto per i Napalm Death a Bristol molto presto, che sarà una data fottutamente certa. Sul biglietto per i Napalm Death ci sono anche i Witch Cult così come pure i nostro “tag team partners” Human Cull; entrambe sono delle band veloci ed energetiche, quindi sarà una cosa fantastica. Stiamo mirando più che possiamo ad uscire dal Regno Unito quindi se qualcuno gradisce farci venire in Italia o da qualche altra parte non abbia paura di farci un fischio. Infine, voglio ringraziare tutti coloro che ci hanno dato una mano per la nostra partecipazione al Vulgar Fest VI, un grazie anche a tutti coloro che sono venuti, che hanno comprato le magliette o ubriacato Luke col vino, grazie a Mimmo e agli Indian Bikers MC (speriamo che ti sia goduto il compleanno fratello!), e un ringraziamento speciale va al signor Morganti per aver riempito la nostra pancia così come anche a Fernando il cane razzista grindcore per aver tenuto pulite le strade di Manduria. Saluti ragazzi: spaccate sempre.

Ringrazio la band per lo show al sesto Vulgar Fest e per l’eccellente figura che hanno fatto fare alla scena Inglese underground, ci si vede alla settima edizione.

Furia


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martedì 1 novembre 2011

LIVE REPORT - VULGAR FEST VI

15.10.2011 VULGAR FEST VI @BIKE E ROCK MANDURIA (TA)

Presente stavolta alla kermesse estrema del Vulgar fest, giunto ormai alla 6 edizione, che quest’anno rappresentava l’underground estremo inglese supportato dal Metal italico.
Serata fredda quella di Manduria, ma per fortuna già la prima band, i baresi Human slaughterhouse, ci dà modo di scaldarci, supportati anche da una discreta presenza di pubblico, (finalmente la gente arriva in tempo utile da vedere anche le prime band), i ragazzi ci regalano un ottimo live, eseguito benissimo ed agevolato dal pogo delle band inglesi che hanno supportato tutti i gruppi durante l’esibizione, con uno spirito di unione e supporto tra band stesse, che da troppo tempo manca al sud Italia. Ottimo Death Metal, di scuola americana il loro, suonato benissimo e valorizzato dalla loro esibizione live, un altro esempio del Metal estremo che in Italia sforna sempre ottime band.

E’ ora il turno della prima band inglese, i Merciless precision, che, con il loro Grindcore, hanno totalmente devastato la platea, ora, in più occasioni ho visto cantanti Metal incitare il pubblico a partecipare al live, ma raramente ho visto un cantante come Harry (ribattezzato the terrorist), che cantava tra il pubblico, pogando e dando sfoggio ad un’esibizione meravigliosamente trascinante, un live estremo sotto tutti i punti di vista.

Mentre ci si lecca le ferite dopo il live dei Merciless precision, e non solo figurativamente per qualcuno, è il turno di Regurgitate life, one man band di scuola decisamente più Death.
Ottima prova la sua, meno focosa dei Merciless precision ma più da gustare, l’esecuzione tecnica da parte del chitarrista cantante è davvero pregevole, assoli stupendi mixati a dovere con riff spaccaossa ed un timbro di voce sapientemente incastrato nella sessione ritmica, ottimo live anche per gustare le doti tecniche oltre alla cruda violenza del genere estremo.

Ora, prendete un animale feroce e tenetelo senza cibo per 10 anni, poi fate entrare qualcuno in quella gabbia…..se l’animale non è morto(come molti credevano), sbranerà senza pietà il poveretto, ecco spiegato cos’hanno fatto i Necrotorture al pubblico del Bike e rock…..in un momento sul palco c’è un pezzo di storia del Brutal italico a dettare i canoni del genere. Un muro sonoro potentissimo, con un ottima prova dietro le pelli, dove in molti guardavano….il ragazzo non è Antonio l’alieno Donadeo, ma crescerà insieme alla band, con margini di miglioramento assurdi visto cosa sa già fare live. Sulla prova della band, musicalmente sopra le righe come sempre, ma il lungo digiuno ha solo caricato di ferocia Alex, l’ultima volta che ho visto un cantante brutal tenere il palco così magistralmente ero ad un live dei Suffocation ed il frontman era mr Frank, ma quest’alex ha ben poco da invidiare. Uno dei migliori live a cui abbia assistito ultimamente.

Il tempo di riprendersi dall’esecuzione dei Necrotorture che comincia il live degli Oblivionized, Grind-Death tiratissimo il loro, senza fronzoli, a sputare in faccia tutta la violenza dell’underground d’oltre manica. Tempi tiratissimi, intrecciati a vorticosi riff che impreziosivano il cantato del singer, con una tenuta di palco da veterani nonostante la loro giovane età, purtroppo l’unica loro sfortuna è di aver suonato dopo i Necrotorture, che dopo 10 anni di stop non erano intenzionati a fare prigionieri, ma hanno comunque tenuto alto il nome loro e della loro scena underground.
Tirando le somme di questa 6 edizione del Vulgar fest, la nostra scena underground è viva e florida visto le band ed il modo in cui si esprimono, nella ricerca di band che rappresentino l’underground dei loro paesi, l’Italia anche stasera non ha nulla da invidiare a nessuno,forse, da invidiare all’estero abbiamo solo il supporto che le band si danno tra di loro, i ragazzi inglesi erano contemporaneamente band e spettatori supportando direttamente le esibizioni di tutte gli altri gruppi, favorendo uno spirito di interscambio musicale e culturale che il Vulgar fest cerca da anni di favorire.
Un ringraziamento a chi ci segue costantemente, facendo diventare di diritto il Vulgar fest una piccola realtà nell’espressione dell’underground estremo, chiudendo, a nome mio, di Metalarci, del Vulgar fest e di tutti i presenti, ringrazio di cuore tutte le band che ci hanno omaggiato della loro presenza sul palco e chi non avendo paura del Metal estremo per cattivoni, ha supportato l’evento, a Mimmo ed al Bike e rock per permettere nel suo piccolo alla scena di continuare ad esistere con la promessa che la 7 edizione sarà ancora più estrema e feroce, e guardando in casa nostra, concludo dicendo, finalmente, bentornati Necrotorture.
Furia


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