martedì 9 novembre 2010

Recensione - STILLNESS BLADE


STILLNESS BLADE – Break Of The Second Seal (The Eternal Damnation)
(2010, Punishment 18)

Inizio subito dicendo che questa seconda fatica dei nostri conterranei Stillness Blade è stata la sorpresa più grande per il sottoscritto. Mi aspettavo un lavoro al livello del precedente The First Dark Chapter che già era di buon livello, ma dopo il primo ascolto si può capire che quest’album va molto al di là di quanto era lecito aspettarsi. Tanto clamore si traduce nel fatto che con questo Break Of The Second Seal gli Stillness Blade abbiano tirato fuori un album praticamente perfetto,  che sicuramente farà da pass per il loro ingresso nella stretta cerchia delle bands Death di punta della nostra scena italiana underground.
Il gruppo ha saputo migliorarsi ulteriormente in questo secondo capitolo, riprendendo le buone basi del precedente episodio ed elaborandole al meglio con una maggiore creatività e una maniacale cura dei dettagli, unita a una produzione ottimale che nel debut album era mancata.
Ottima anche la prova tecnica individuale dei tre, su Antonio Donadeo (detto “l’americano” per la sua esperienza da turnista in tour coi Vital Remains) c’è ben poco da dire che non sia già stato detto, è l’indubbia punta di diamante, ma sarebbe ingiusto e sbagliato trascurare di sottolineare il superbo lavoro di riffing di Max Schito, abile nel creare un sound dinamico che cattura costantemente l’attenzione dell’ascoltatore (tanto per intenderci durante tutto l’album non si ha mai quella sensazione di “massa informe” che caratterizza spesso il Brutal-Death). Egregia anche la prova dietro al microfono di Max col suo growl impastato ma efficace e graffiante (in NAPALM RAIN su tutte) che ricorda a tratti il Glen Benton d’annata. Importante anche il supporto del basso di Gianpaolo Marsano che non si limita a semplice accompagnamento ma forma l’incastro perfetto per le trame chitarristiche di Max.
Scendendo nel dettaglio la forza di quest’album sta soprattutto nell’ottimo livello di tutte le tracce, non c’è un pezzo che deluda o che possa essere considerato l’anello debole. Le 8 tracce si rifanno a un Blackned in scia Behemoth che a tratti sconfina nel Brutal (come in MATERIALISTIC SUFFOCATION) e a tratti nel Black ispirato dei Dissection. Dovendo però fare una selezione merita sicuramente un’analisi più accurata il terzetto d’apertura, PATH OF DAMNATION introdotta da un inquietante intro (come in tutti e 8 i brani l’uso continuo di intro, magari collegati a voler creare un concept musicale, rappresenta uno dei punti di collegamento con il debut album) si presenta come un ottimo biglietto da visita dell’album, un pezzo di poco più di 6 minuti di Death in stile Malevolent Creation, in cui nella parte centrale un gelido riff Black ci trasporta nelle lande norvegesi, per poi chiudere il pezzo tornando sul motivo iniziale. NAPALM RAIN invece parte con un incedere cupo e pesante, dal vago sentore Thrasheggiante, interrotto da stacchi di cassa che tenendo fede al titolo sembrano una pioggia di bombe, pronte a esplodere dopo pochi secondi in tutta la loro potenza in un Blackned corposo e senza scampo. Anche qui nel finale un bellissimo quanto ipnotico riff di dissectioniana memoria accompagnato dal rabbioso ma austero growl di Max alza di parecchio le quotazioni del pezzo. CHAINS OF DAMNATION può essere considerata la più variegata e completa, si passa dal triste ed evocativo inizio melodico su cui si staglia la doppia cassa di Donadeo  a un furente prosieguo distruttivo, passando per un bell’assolo breve ma intenso e finendo con il caratteristico passaggio Black: forse il miglior pezzo. Menzione di merito anche per la conclusiva ASCENSION OF SEVEN BLADES, degno epilogo di  questo pregevole album che sembra riassumere il tutto in sei minuti.
Per concludere un cenno va fatto anche alla bella veste grafica, artwork espressivo e ben realizzato, come anche il booklet.
Inutile fare ulteriori giri di parole, questo Break Of The Second Seal è destinato a essere uno dei migliori dischi Death italiani di questo morente 2010, e il fatto che a comporlo siano stati dei nostri conterranei salentini non può che inorgoglirci. Un plauso va anche alla ottima Punishment 18 per non esserseli fatti sfuggire, e che sicuramente darà loro il giusto risalto.
Gli Stillness Blade han preso il volo, fate vostro questo album!

Torrrmentor

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