SILVERED - Dying Light
(2008, Autoprodotto)
Quella che mi accingo a
scrivere ora è la recensione della primissima incisione (un ep, per la
precisione) di una band che può a pieno titolo vantarsi di essere fra le più
promettenti in Puglia: i leccesi Silvered.
Proprio come per i Vinterblot, anche per i Silvered
ho avuto il privilegio di assistere ad un loro live, dove a scatola chiusa
comprai il loro ep su suggerimento di alcuni miei amici che conoscevano il mio
apprezzamento verso gli Opeth e gli Amorphis. Ricordi
indelebili di quella serata sono state senza dubbio le cover di MY KANTELE
degli Amorphis, nella sua versione acustica, e di HARVEST degli Opeth,
che ho cantato a squarciagola assieme al mio amico Davide Memmi, in quanto era
forse la canzone che più di tutte aveva suggellato la nostra amicizia. Ma il
meglio viene proprio coi brani autoctoni dei Silvered, robusti e convincenti come se fossero stati scritti da
una band con molti più anni d’esperienza. I Silvered si trovano perfettamente a loro agio nei live, curando
minuziosamente ogni dettaglio che possa in qualche modo ricreare l’atmosfera
adatta al loro sound: luci soffuse, candelabri accesi, eccetera eccetera.
Ma parliamo nel dettaglio di
questo Dying Light. Il disco
presenta una copertina non troppo elaborata raffigurante un disegno stilizzato
di rami e foglie, su cui troneggia il logo della band e nel booklet di appena
due pagine non sono presenti nemmeno le
foto dei componenti. Tutto questo vale a mio avviso come un biglietto da
visita: non serve accattivarsi ascoltatori con una bella copertina sgargiante.
Deve essere la musica stessa a parlare. E quella dei Silvered, credete a me, di cose da dire ne ha davvero tante. Se
dovessimo trovare per forza delle affinità a qualche formazione di riferimento
nel mainstream, possiamo magari citare gli Opeth (per l’oscurità del sound),
gli Amorphis
(per le parti più epiche), qualcosa degli Alice In Chains (per quanto riguarda
l’atmosfera), forse anche i Novembre e i primi Pain
Of Salvation, ma qui non si parla di paragoni bensì di sottili
richiami: le canzoni proposte sono infatti tutte originalissime e mai, e
sottolineo mai, si nota una qualche scopiazzatura con qualcosa di già sentito.
E la presenza di lievi sprazzi di elettronica conferma ulteriormente questa
tesi.
Il disco si apre con WINDOW,
un’introduzione strumentale di pianoforte che si trasforma, sul suo calare, in
una melodia arabeggiante. Non si ha nemmeno il tempo di prendere confidenza col
sound che subito giunge di violenza UNDER A DEAD SUN, con Daniele Rini che
esplode con un growling oscuro e
cavernoso, intervallato ad uno screaming
secco e diretto. Successivamente è il turno della mia preferita dell’ep, ANOTHER
LEAF COMES DOWN, molto più proggish e
varia, con parti veloci, lente ed anche acustiche, ed è anche in questa traccia
che “debutta” la voce in clean del
cantante, calda e suadente come richiesto dal genere proposto. Anche le
seguenti tre tracce mantengono lo stesso incedere, e proseguono fino alla
mezzora, momento in cui l’ep tutto ad un tratto finisce, lasciando un po’ di
amaro in bocca. Se vi chiedete il perché, è giusto per il fatto che dopo
mezzora è già finito: la musica dei Silvered
è talmente particolare ed innovativa (pur non rinnegando le proprie radici in
maniera drastica) che mezzora non basta per essere apprezzata appieno.
Pertanto, resto in
febbricitante attesa di poter ascoltare e recensire il primo full-lenght dei Silvered, in uscita nella primavera del
2011. Se le mie aspettative non saranno deluse, assisteremo al debutto di una
band che potrebbe benissimo essere annoverata fra le fila dei mostri sacri del
genere.
Grewon
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